Quando l'immigrazione fa bene all'economia e al mondo dell'impresa

Gianni Balduzzi 15/01/2021

La narrazione che ruota intorno alle startup da molti anni ne è piena. Gli aneddoti su immigrati che hanno fondato aziende di enorme successo non si contano. Dal sudafricano Elon Musk al russo Sergey Brin (Google) al meno noto Eric Yuan, cinese che dopo essere giunto negli USA ha fondato l’azienda produttrice di uno degli strumenti più utilizzati in questo difficile periodo, Zoom.

Ma non si tratta solo di casi mediatici ed eccezionali, è vero, nei Paesi più avanzati, quelli in cui per primo il fenomeno delle startup si è affacciato e quelli che attirano più talenti dal resto del mondo, e guarda caso sono i medesimi, le aziende innovative fondate da immigrati sono in proporzione addirittura più di quelle fondate dai residenti. Un esempio sono naturalmente gli Stati Uniti.

Il 55% delle startup USA miliardarie è stata fondata da un immigrato 

Secondo Forbes due anni fa il 55%, ovvero 50 su 91, delle startup che superavano il miliardo di dollari di valore, erano state create da stranieri. E anche volendo escludere quella piccola porzione, 6, di aziende fondate da immigrati giunti in America da bambini, si arriva comunque a una percentuale decisamente più alta di quella rappresentata dagli americani nati all’estero sul totale della popolazione. 

 Ma a dati simili arrivano anche ricerche molto più rigorose come quella pubblicata pochi mesi fa dal MIT (Azoulay e altri) che rilevano come mediamente la tendenza a fondare nuove aziende sia dell’80% maggiore tra gli immigrati che tra chi in USA vi è nato

E per ogni straniero i posti creati dagli immigrati stessi sono il 42% in più di quelli creati da un autoctono per ogni americano.

Altri dati smentiscono facili stereotipi. Non si tratta solo di piccoli commerci, il vantaggio dell’imprenditorialità straniera rimane anche se si valutano solo le aziende più importanti, le Fortune 500, e a differenza di quello che si pensa i salari medi pagati in imprese con un immigrato fondatore non sono inferiori alla media, anzi, anche leggermente più alti.

Ma soprattutto in queste aziende vi è il 35% di probabilità in più che vi sia un brevetto rispetto a quelle fondate da americane.

Sapendo che l’universo delle startup è strettamente legato a quello delle aziende più tradizionali (molti founder vengono da posizioni manageriali o tecniche in grandi imprese), non ci si stupisce dei dati di Forbes alla luce di tali statistiche.

La Germania segue le orme degli USA

Gli Stati Uniti da decenni hanno avuto il vantaggio di essere il Paese più attrattivo per ogni tipo di immigrato, fosse il centroamericano che sfuggiva alla fame, che lo studente e il professionista proveniente da altri Paesi occidentali, ed è anche per questo che vediamo tali risultati, ma ormai da tempo anche l’Europa si è affermata come luogo di destinazioni di imprenditori o futuri imprenditori, e come luogo in cui uno straniero può fondare un’azienda di successo.

L’esempio più recente e celebre è BioNTech, fondata da Ugur Sahin, nato in Turchia e giunto in Germania da bambino, assieme alla moglie Ozlem Tureci, nata nel Paese da genitori turchi. 

Il panorama tedesco rappresenta appunto un motivo di esempio. Nel 2019 su 605 mila nuove aziende 160 mila sono state fondate da immigrati o da persone con un background straniero. Si tratta del 26%, il 5% più che nel 2019. Gli stranieri sono molti in Germania, ma ovviamente non così tanti. Anche in questo caso vi è una maggiore imprenditorialità tra loro.

Secondo il Financial Times poi le startup fondate da stranieri in Germania tendono a essere digitali in più del 40% dei casi contro il meno del 30% medio, e a essere più internet-based, quasi il 40% contro poco più del 30%, nonché a fare più ricerca e sviluppo.

Una maggiore propensione al rischio

Lo sappiamo, perché accade anche e soprattutto in Italia, non è tutto oro quel che luccica, spesso e volentieri uno straniero diventa imprenditore perché costretto a mettersi in proprio dalla scarsità di prospettive di assunzione, dovuta al fatto che deve affrontare discriminazioni e a volte è più facile appoggiarsi alla propria comunità aprendo una piccola attività nel campo del commercio. Ma questo spiega solo una piccola parte dei dati l'imprenditorialità degli stranieri. 

Le statistiche americane e tedesche sono molto chiare, le aziende degli immigrati riescono a essere di successo anche tra le più grandi e le più produttive e avanzate. 

In realtà secondo gli esperti vi sono anche altri fattori, anche culturali. Tra gli stranieri vi è una maggiore propensione al rischio. Che deriva da una maggiore selezione a monte, sono i più intraprendenti coloro che partono, un po’ come avveniva tra coloro che dall’Europa 100 anni fa andavano in Nord e Sud America o in Australia, e poi anche dalla mancanza di paracadute, di una famiglia e di una rete sociale consolidata.

In Italia, Paese di immigrazione più recente, questo potrebbe essere ancora più vero.

L’opportunità di un’immigrazione di qualità

Nel nostro Paese  vi sono minori statistiche al riguardo. Sappiamo che un’azienda su 10 è gestita da migranti, e che queste generano circa il 9% del PIL, in linea del resto con l’incidenza della popolazione di origine straniera nel nostro Paese. Non ci sono molti dati però riguardo alle startup.

Ma una cosa la sappiamo, a causa della minore attrattività e delle leggi sull’immigrazione che di fatto ostacolano gli ingressi per lavoro e favoriscono la clandestinità il livello d’istruzione degli stranieri che giungono in Italia è tra i più bassi d’Europa.

Volendo guardare il bicchiere mezzo pieno vi sono amplissimi margini di miglioramento. Proprio partendo a monte dal lato delle competenze. Non può passare inosservato che ben 21 dei 51 imprenditori americani di origine straniera di aziende miliardarie arrivarono negli USA come studenti internazionali.

La strada per poter approfittare della propensione all'imprenditorialità di coloro che migrano parte da qui, dal fattore pull. Da una modernizzazione della nostra università e più in generale dal potenziare i fattori attrattivi.

Dal 2014 il Ministero dello Sviluppo ha varato il programma Italia Startup Visa, che mira alla concessione agevolata di visti d'ingresso per lavoro autonomo a cittadini non UE che intendono avviare, individualmente o in team, una startup innovativa nel nostro Paese.

I numeri sono piccoli, delle 481 candidature ne sono state approvate fino a fine 2019 poco più di metà, 250, ma l’iniziativa come spesso accade rappresenta un esempio di quelle buone idee che anche nella Pubblica Amministrazione spesso non mancano ma non vengono poi potenziate, finanziate, pubblicizzate. 

Significativo è il fatto 92,1% di coloro che hanno ricevuto l’approvazione è laureato, come pure la provenienza di costoro. La maggioranza relativa è rappresentata da russi, 73, vengono poi cinesi, 44, americani, 28, ucraini, 21, iraniani, 12.

Vi è un mondo emergente con redditi medi o in crescita e soprattutto con popolazione spesso ben istruita verso cui l’Italia potrebbe proporsi in modo più aggressivo.

Siamo un Paese esportatore, e avere più imprenditori innovativi di origine straniera, con i loro legami con la madrepatria, sarebbe benefico per tutta l’economia. Soprattutto in questo momento unico della nostra storia.


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