Per sviluppare e gestire i processi di innovazione, sempre più imprese decidono di aprirsi a idee, soluzioni, competenze e modelli provenienti dall’esterno, attraverso forme di collaborazione con startup, università, istituti e centri di ricerca, ma anche società di consulenza e aziende consolidate non concorrenti. È il fenomeno dell’Open Innovation, teorizzato per la prima volta nel 2003 dall'economista statunitense Henry Chesbrough nel suo saggio "The era of Open Innovation". Un paradigma che afferma che “le imprese possono e debbono fare ricorso a idee esterne come a quelle interne, ed accedere ai mercati con percorsi interni ed esterni, se vogliono progredire nelle loro competenze tecnologiche”.
L’innovazione aperta consente di ridurre i rischi e i costi legati all’innovazione chiusa e, al contempo, permette di condividere i benefici derivanti dalla collaborazione con altri soggetti, dando la possibilità di accedere a nuove tecnologie e conoscenze di frontiera e offrendo l’opportunità di sperimentare soluzioni innovative, di arricchire il proprio sistema di offerta e individuare nuove opportunità attraverso percorsi esterni ai propri confini o alternativi al proprio modello di business.
Le imprese che adottano il paradigma dell’Open Innovation lo fanno con due approcci:
A livello italiano, secondo i dati dell’Osservatorio Startup Intelligence del Politecnico di Milano, il 78% delle grandi imprese ha avviato iniziative di Open Innovation e il 45% ha attivato collaborazioni con startup. Mentre tra le PMI il 53% ha adottato pratiche di innovazione aperta e il 15% lavora con startup e imprese innovative.