Spartan Tech, Renda: “Con noi la blockchain diventa democratica”

Redazione BacktoWork 14/01/2021

Portare in Italia una tecnologia di frontiera, offrire un prodotto alla portata di tutti e competere con i concorrenti internazionali sono i principali obiettivi di Spartan Tech: ne abbiamo discusso insieme a Paul Renda, uno dei tre fondatori.

Com’è nata l’idea di fondare la startup?

La startup si occupa di tracciabilità, notarizzazione e, più in generale, del mondo della blockchain. La mia storia e quella degli altri fondatori è la storia di tre persone che, avendo vissuto e studiato all’estero, hanno sentito a un certo punto del loro percorso di carriera la necessità di costruire qualcosa di realmente ambizioso in campo tecnologico nel proprio Paese.

Negli ultimi due anni abbiamo lavorato senza sosta cercando di declinare questa tecnologia sulla realtà nazionale, avendo in mente il profilo delle PMI italiane e degli utilizzatori. Il tutto è stato portato avanti con quello che noi definiamo un connotato democratico, ossia l’obiettivo di portare tecnologie molto complesse alla portata di tutti.

A quali settori si rivolge?

Il mondo della blockchain è un game changer per tutti i settori: è sotto gli occhi di tutti quanto successo nel mondo della finanza con le cryptovalute (una delle possibili declinazioni della blockchain). Il nostro è un configuratore di blockchain e questo ci permettere di operare su blockchain pubbliche in modo dinamico in base all’effettiva esigenza del cliente. Attualmente abbiamo investitori importanti nel mondo dell’agroalimentare, del fashion, dello sviluppo software, del trattamento dei rifiuti, della tracciabilità dei dati, della finanza. Siamo convinti, che nel giro di 3/4 anni, tutti i settori saranno impattati in modo diretto della blockchain e, già oggi, ce ne stiamo rendendo conto.

Quanti fondi avete raccolto grazie alla campagna di crowdfunding?

Tutti noi fondatori siamo imprenditori con realtà importanti alle spalle, dunque rispetto alle altre startup che vediamo sul mercato abbiamo prima voluto sviluppare in auto finanziamento la tecnologia. Ci abbiamo messo due anni e, finché non era definitivamente pronta, siamo rimasti fermi dal punto di vista commerciale e della raccolta di capitali. Quattro/cinque mesi fa siamo quindi partiti con alcune importanti aziende con dei progetti pilota: questi sono andati decisamente bene e quando ci siamo sentiti tecnologicamente sereni rispetto alla qualità della soluzione abbiamo aperto il capitale che ha raggiunto in sole 48 ore il target massimo di raccolta di 250k.

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Quali sono i vostri obiettivi?

Ciò che vorremmo fare nel breve periodo è andare a implementare la nostra tecnologia in alcune filiere che reputiamo strategiche. Sull’agroalimentare, ad esempio, abbiamo un progetto molto importante volto alla creazione della prima tracciabilità di filiera, end-to-end, in Italia: il progetto è già stato realizzato ed è pienamente operativo. In questo momento stiamo andando a implementare ulteriori sviluppi migliorando alcuni dettagli nella user experience. Essendo un settore nascente, l’idea è quella di creare degli standard che possono diventare dei punti di riferimento. Per esempio, per quanto riguarda il credito d’imposta sulle ristrutturazioni, andiamo a notarizzare la creazione del credito verificando che esso sia formato in maniera genuina. In tal modo, quando si va a cedere il credito non sussistono dubbi e rischi sul suo processo di formazione e, di conseguenza, il valore facciale a cui viene venduto risulta più alto rispetto a quello che attualmente viene pagato dal mercato.

Con Lifegate invece inizieremo proprio in questi giorni un ambizioso progetto per combattere le fake news. Si tratta di un progetto messo a punto negli ultimi mesi che, partendo dall’analisi di quanto sta avvenendo negli Stati Uniti, vuole andare a dare un indirizzo anche al mercato italiano.

Operate solo sul mercato italiano o anche internazionale?

Le tecnologie di cui ci occupiamo non hanno confini dunque a brevissimo andremo a sviluppare anche le attività a livello internazionale. A marzo, ad esempio, andremo all’acceleratore del MIT per fare uno stress test e iniziare a capire come possiamo ulteriormente migliorare la tecnologia. Al momento non abbiamo ancora progetti con aziende straniere (anche perché siamo andati a mercato col prodotto solo pochissimi giorni fa). Non ho però dubbi sul fatto che ci arriveremo a breve.

Qual è la vostra strategia di comunicazione?

Rispetto a quanto accade in Italia, ci siamo resi conto che altri stati come ad esempio Francia, Germania, USA sono decisamente più avanti sul tema della tracciabilità di filiera. Stiamo dunque portando avanti da un lato un’opera di sensibilizzazione ed evangelizzazione insieme al nostro media partner Lifegate (riferimento in Italia sulla sostenibilità) e, dall’altro, una campagna di comunicazione sui social che prenderà vita proprio in questi giorni.

Tra i nostri investitori vi sono aziende molto importanti e stiamo lavorando al fine di costruire progetti all’interno delle loro filiere di riferimento così da avere una comunicazione mirata (per esempio nel mondo dell’acciaio il nostro partner è Eusider, una delle più importanti realtà del settore). Per la promozione di prodotti più basic, ad esempio B2C, puntiamo molto sui social network.

Quali sono i vostri punti di forza e le peculiarità che vi differenziano dai concorrenti?

In primis, come accennavo, le tecnologie che sviluppiamo vogliono essere democratiche e alla portata di tutti. Vogliamo fortemente che queste abbiano un impatto positivo per le persone o per le filiere dove operiamo. Il livello di meticolosità e dettaglio con cui operiamo spesso può risultare folle ma siamo fatti cosi, siamo convinti che solo spingendo tutto al massimo possiamo fare la differenza. Quando ad esempio abbiamo sviluppato la tecnologia per la filiera dell’agri-food la prima cosa che abbiamo fatto è riflettere sul fatto che quello strumento doveva andare in mano a persone con una predisposizione alla digital transformation completamente diversa: dall’agricoltore al magazziniere fino ad arrivare al top management. Per questo abbiamo lavorato per settimane al fine di creare una soluzione che riuscisse a soddisfare le esigenze di tutti i soggetti coinvolti.

Devo dire che l’eterogeneità del nostro team è certamente un plus: abbiamo tutti esperienze professionali e percorsi di vita diversi e ciò ha aiuta ad analizzare il nostro lavoro da diverse prospettive. Prendo un esempio, nella primavera del 2020 abbiamo scelto di offrire la possibilità di cambiare dinamicamente la blockchain pubblica su cui notarizzare i dati. Allora non ve ne era una concreta necessità ma al nostro interno ci eravamo per tempo interrogati sui possibili impatti derivanti dall’oscillazione finanziaria di bitcoin ed ethereum. Oggi, che queste cryptomonete sono salite a valutazioni stellari, per noi è stato un attimo switchare i progetti dei nostri clienti su blockchain più economiche. Penso che la mancanza di competenze finanziarie nel team non ci avrebbe portato, già allora, a fare certi tipi di riflessioni.

In che modo la pandemia ha inciso sul vostro modo di lavorare?

Sarebbe una bugia dire che non ha inciso, anzi. A causa delle restrizioni anti Covid ad inizio 2020 ci è molto mancato il contatto fisico e i developers hanno dovuto sviluppare tutto da remoto senza un quotidiano coordinamento e interscambio di punti di vista. Inoltre, noi tre fondatori abbiamo passato mesi senza vederci di persona (io mi sono trasferito in Brasile e poi in middle east, mentre i miei due soci uno a Milano e l’altro in trentino).

Anche gli appuntamenti commerciali non sono stati semplici da gestire: quello della blockchain è un tema nuovo e già di per sé difficile, non poterlo rappresentare vis-a-vis è stata certamente una sfida. Ci sono però stati anche dei lati positivi: ci siamo resi per esempio conto che alcuni tipi di attività che prima svolgevamo di persona possono essere gestiti tranquillamente da remoto e con una migliore velocità.


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